TRA FINZIONE E REALTA’

di Anna Maria Solano

Giocare è il modo originale che i bambini hanno di presentarsi al mondo. Esplorano i loro giocattoli, inventano giochi con la loro spiccata creatività, imparano a far finta di...; così facendo comprendono a poco a poco e con estremo senso del piacere il mondo degli adulti.

Smontano, rimontano, distruggono, ricostruiscono provando un immenso piacere perché quell'oggetto è il prolungamento di sé, che usano come unità di misura per conoscere sé stessi e il mondo.

Il bambino separa i pezzi del suo amico super eroe per capire com'è fatto e per conoscere le parti del proprio corpo, così nella ripetizione, pezzo dopo pezzo dialoga con sé stesso, applica pensieri e strategie, gioca con la forza di gravità e con gli equilibri; si trasforma in un perfetto ingegnere, architetto ed equilibrista per ricostruire il suo mondo, sempre più complesso e ardito.

I giochi sono i “mestieri” dei genitori, sono la mamma e il papà, sono il mondo sociale in cui sono inseriti, sono gli affetti, le emozioni che solo se giocate possono esplodere ed essere contenute.

Il pensiero che l’adulto rivolge al significato di “giocattolo” sommariamente è qualcosa di superficiale, semplice, riguarda l’intrattenimento e il gioco di imitazione al mondo dei grandi. 


tamburojpg

Oggi sono ricercati quei giocattoli con le indicazioni riportate sulle scatole “adatto allo sviluppo del pensiero logico”, o “adatto allo sviluppo cognitivo”, “alla motricità fine”, come se un genitore dovesse assolutamente conoscere la terminologia scientifica e gli stadi dello sviluppo cognitivo per poter comprare il giocattolo perfetto. Questo aspetto, per lo più commerciale, porta i genitori a pensare al proprio bambino come un “essere” a cui inserire meccanismi perfetti per essere un super bambino. Questa strumentalizzazione spegne l’istinto del buon genitore che, sentendosi incapace, si affida agli scienziati del marketing. Però Il mondo dei giochi è molto più naturale e il protagonista è proprio il bambino.

Da piccola desideravo un bambolotto, andava di moda “Cicciobello”, vi ricordate? Quello classico, con il volto inespressivo, che non piangeva, non parlava, la magia stava nel biberon con il latte che scompariva ad ogni poppata. Tra i molti (ma non troppi) giocattoli, quello fu proprio il mio preferito.

Perché mai un giocattolo assume un significato così importante e forse determinante nello sviluppo del bambino?

La bambina con il suo giocattolo sviluppa il senso materno, traduce le espressioni mimiche del bambolotto, frutto di una spiccata immaginazione. Trascorre le giornate a parlare con il suo bambino, monologhi che, di fatto, riflettono il vissuto reale e, come allo specchio, proiettano sul viso plastico del bambolotto, tutti gli stati d’animo. Come una mamma, si preoccupa di tradurre quelle emozioni e di restituirle aggiustate e ben confezionate per poter aiutare ad alleviare i suoi dolori o rispondere alle sue richieste. Ma non solo, può trasferire sul bambolotto, con una disarmante e affascinante ambivalenza, tutta la sua rabbia, quella che nella realtà è della mamma quando si arrabbia per i capricci del proprio bambino o la collera della bambina con i suoi sensi di colpa, che si attenuano solo quando riversa le sue angosce su quell’oggetto e non sul vero oggetto d’amore che è la mamma. Giocando si prepara a diventare donna.

Ora, Facciamo silenzio e… Ascoltiamo un attimo quel ricordo, quelle parole parlate con i sentimenti di quel tempo passato... Ciò che sentiamo è la voce del bambino che consola il suo giocattolo, ma all’improvviso lo rimprovera con le parole dell’adulto, sono le frasi di mamma e di papà che risuonano dentro ogni bambino e si riversano sulla finzione del gioco.

I giocattoli coccolati oppure scossi con violenza, smontati e rimontati, si animano e da oggetti che conservano, per gli adulti, un significato semplicemente oggettuale (il camion si limita alla funzione di camion, il cavallo trotterella e nitrisce), diventano attori teatrali della drammatizzazione del bambino, quale vero ed unico protagonista della propria crescita, che ha la capacità sbalorditiva di trasformare il giocattolo a proprio piacimento e secondo il bisogno del momento. Presto fatto, un semplice bicchiere di plastica diventa un aeroplano, un cuscino si trasforma nella macchina potente e veloce del papà e un cavallo diventa un cucciolo da accudire o un drago sputafuoco. Ma i bambini, voi sapete bene, chiedono spesso di giocare insieme ai genitori, questo perché l’adulto con la sua esperienza può arricchire di una fantasia più vasta il gioco del bambino.

I genitori, quindi, si metteranno a “servizio” del bambino e non saranno certamente i protagonisti che esiliano i bambini riservando loro il ruolo di semplici spettatori. I genitori giocheranno “Per” e “Con” il bambino senza sostituirsi ad esso, permettendo al bambino di entrare nel suo mondo magico.

È questo il mondo che ogni genitore e ogni educatore deve difendere e mantenere. Il bambino ha bisogno di giocare, libero di inventare, di nutrire lo spazio della fantasia. Ci sarà un momento, e sarà quello giusto, in cui i bambini, prenderanno le distanze da quel mondo immaginario, e potranno dedicarsi agli apprendimenti scolastici, ma solo se, il mondo degli adulti lascia spazio alla crescita del mondo fantastico dei piccoli bambini.